25 Luglio 2022

5 motivi (+1) per cui una startup dovrebbe investire in branding

Picture source: Turbologo

Presentarsi è sempre complesso, lo è ancora di più quando si è nuovi e a dir poco sconosciuti. Questo vale come singoli, come imprenditori e forse ancora di più come aziende.

Il modo con il quale un'azienda decide di raccontarsi e promuoversi sul mercato è dato sicuramente in parte dal suo prodotto - specie nel caso di industry legate all'innovazione - ma molto anche da come quel prodotto viene presentato e successivamente interpretato.

Qui di seguito i 5 motivi più uno bonus per i quali anche una startup dovrebbe quindi investire nel branding.

1. Per distinguersi delle new entry

Ogni anno, nascono più di 300 milioni di nuove aziende in tutto il mondo in cui sicuramente per la legge dei grandi numeri molti prodotti saranno sostanzialmente sovrapponibili tra loro. Il branding è ciò che può permettere la differenziazione e di conseguenza la scelta da parte del consumatore, il che significa sopratutto nei primi anni di vita di un'azienda, la differenza tra la sopravvivenza o la chiusura.

2. Per dare un ruolo al prodotto nella vita delle persone

Ogni azienda è fatta di persone, processi e scelte che in maniera attiva o meno, portano valori all'azienda stessa. Questi elementi posso caricare il brand di valore, renderlo attrattivo al consumatore e generare un elemento di preferenza nel momento dell'acquisto. In una società dei consumi sono i nostri acquisti a definirci motivo per cui offrire con essi un sistema valoriale condivisibile risulta quindi importante.

Source: Time.com

3. Per avere un faro da seguire in ogni attività

Simon Sinek lo chiama Why, per molti del settore è il purpose. Si tratta del motivo per il quale si è sul mercato al di fuori del generare profitto e una volta cristallizzato funziona da faro per tutte le attività di brand ma anche aziendali: dalla scelta di un fornitore rispetto ad un altro, allo sviluppo di nuovi prodotti, alla realizzazione di un brand-stretch oppure più semplicemente nella scrittura di una call to action per il sito o alla stesura dei contenuti per i social. Avere un punto fisso canalizza tutte le attività nella creazione di un brand solido.

4. Per far rafforzare la credibility

La coerenza di messaggio e semiotica in ogni aspetto del brand creano uno stato di uniformità, semplicità e leggibilità del prodotto e dei servizi che rendono l'azienda credibile da tutti i suoi stakeholders. Investire nel branding strategico è un primo passo per essere presi seriamente dall'intero mercato, risultando credibili e di conseguenza duraturi nel tempo.

5. Per essere a prova di futuro

In un mercato sempre più globale, il cambiamento e l'evoluzione si sono fatti sempre più assidui. In questo contesto è naturale che le aziende debbano saper cambiare i propri prodotti, design, servizi, aree di business, etc. ma è fondamentale che ad ogni cambiamento la riconoscibilità dell'azienda non si perda, non solo in termini di logo ma anche rispetto a quanto quel logo porta con sé in termini di valori. Un buon branding è quindi fondamentale quindi per avere chiari quali siano gli elementi che a prescindere da ogni cambiamento saranno sempre riconoscibili al consumatore.

Belong Anywhere ha accompagnato Airbnb dal servizio di pernottamento allo svolgimento di esperienze | Picture source: Lago

Bonus: “If you are not a brand, you are a commodity” (P. Kotler)

E se nasci commodity, nasci per essere sostituito da un prezzo più basso, un'offerta più interessante, un brand con il quale condividere una visione.

14 Settembre 2019

È giusto che le aziende abbraccino cause femministe?

Nelle mie ultime riflessioni notavo come talvolta (spesso) la brand purpose venga confusa con un atteggiamento buonista da parte dei brand, pronti a ricoprirsi di bandierine arcobaleno per vendere due prodotti in più.

Ma allora da strategist mi chiedo: posso sentire legittimata a proporre posizionamenti - ad esempio - femministi?

Billie, brand americano di rasoi da donna, che contro il tax-gap ha lanciato il suo blu rosé (13% più economico della versione rosa).

È facile ricadere nel golden circle di Sinek e presupporre che il WHY di un brand possa coincidere con un alto valore sociale ma questo non può essere sempre corretto. Certo, potremmo arrivare a dire che un’azienda che produce sughi pronti lo potrebbe fare per liberare la figura femminile dalle cucine ma il punto è se è corretto che un brand con si appropri di una lotta al cambiamento sociale?

A prescindere degli schieramenti, da un lato quello per il quale la pubblicità rimarrà sempre il motore del male e dall’altro chi lancerà sempre un like, una risata o una lacrima su una campagna ben fatta, mi piacerebbe arrivare ad una radice più profonda del problema.

Anche oggi sono andata a scomodare un pezzo grosso per tentare di trovare una risposta, ho scomodato uno di quelli che già studiavo nei libri dell’università e che già cinque anni fa, prima del  #MeToo e Freeda aveva una risposta per me: Michael Porter.

Porter, economista statunitense, in un Ted Talks notava come siamo portati a pensare che i problemi sociali, spesso gravi e mondiali come il cambiamento climatico o l’accesso all’acqua potabile, siano un affare da ONG e governi, istituzioni con risorse limitate in quanto non generatrici di profitto, dei buchi neri nel ciclo economico.

Un quarto d'ora ben speso!

Quello che andrebbe fatto è quindi un radicale cambio di punto di vista da parte degli operatori economici e delle singole persone. Delle aziende, mostrandogli che possono creare del business che ancora non esiste, e come singoli nella consapevolezza che sono i singoli acquisti che cambiano il mondo. Tipo che mi sto sentendo in colpa ad aver preso un medium cappuccino da Starbucks prima di salire sul treno dal quale sto scrivendo.

In pratica un po’ quello che sta succedendo negli ultimi mesi con la sostenibilità ecologica. Anche i grandi gruppi spinti dalla richiesta dei consumatori stanno cercando strade alternative e più green nella produzione, un esempio su tutti P&G. Su questo fronte le aziende hanno realizzato come spendere per avere un impatto ambientale più limitato significhi investire.

Italia benino, pay gap ridotto ma l'impiego femminile (specie full time) è inferiore ad altre nazioni europee. Sopra uno spaccato della retribuzione per sesso e regione. Fonte: Istat.

Bello tutto ma quindi il femminismo? Se volessimo vederla dal punto di vista economico, sostenere l’uguaglianza di genere è un modo di creare valore economico. Supportare una società in cui le donne sono considerate alla pari degli uomini deve portare necessariamente ad un aumento di capitale, quindi economicamente la mia risposta è sì.

Ma moralmente? Moralmente trovo che non siano molti i brand con il maschilismo nel loro DNA quanto lo sia storicamente e involontariamente l'intera società. Penso che la pubblicità rappresenti uno specchio della nostra società, che se gli anni 50 sono stati quelli del servilismo femminile, gli anni 80 quelli della sessualizzazione del corpo femminile, sarebbe quindi giusto che nel 2020 raccontasse di una società femminista, realistica e de-stereotipata rispetto a quanto spesso avviene.

Teoricamente ho una newsletter.

Praticamente non riesco mai a scriverla ma ogni tanto potresti ricevere delle riflessioni, insight o report da leggere.